OPEN: Smart working, lo choc che serviva

OPEN: Smart working, lo choc che serviva

Su gentile concessione del Corriere della Sera, edizione Torino, pubblichiamo l’articolo del vicepresidente Pietro Garibaldi pubblicato lunedì 24 marzo. Per oggetto, uno dei temi centrali sollevati da questi tempi di Coronavirus, lo smart working, attività che permetterà anche al Circolo di restare a contatto con i propri Soci e magari anche di aprire discussioni e dibattiti interessanti. A seguire la risposta del presidente Luciano Borghesan, pubblicata sempre sul Corriere Torino il giorno successivo.

SMART WORKING: LO CHOC CHE SERVIVA

Corriere della Sera, edizione Torino.

Lunedì 24 Marzo 2020

Pietro Garibaldi

(pietro.garibaldi@unito.it)

pagina Garibaldi

Le conseguenze dell’epidemia COVID 19 per la nostra regione sono di tre tipi. La prima è medico sanitario e riguarda la capacità del sistema di raddoppiare rapidamente i posti in terapia intensiva. La seconda è economica e riguarda gli effetti del decreto “Cura Italia” sul PIL. La terza è legata ai cambiamenti nel modo di lavorare. La prima conseguenza riguarda gli esperti di medicina. La seconda e la terza conseguenza sono socio economiche, ma vorrei ragionare sui cambiamenti nel mondo del lavoro.  Mentre la recessione in corso può essere passeggera, le conseguenze legate al modo di lavorare sono permanenti e positive.

Secondo l’analisi economica, un soggetto adotta una nuova tecnologia quando gli incrementi di produttività e di ricavo ne giustificano il costo di adozione. Nel mercato del lavoro stiamo assistendo a un’impressionante adozione di tecnologie legate al lavoro a distanza o smart working.

Pensiamo al settore dell’istruzione, che include sia la scuola e che le università. Le lezioni universitarie avvengono grazie a strumenti di hardware software che sfruttano la diffusione della banda larga e la disponibilità di piattaforme audiovisive on line. Personalmente, interagisco con gli studenti non soltanto attraverso la video camera del computer. Riesco anche a condividere con gli studenti lo schermo del tablet in cui scrivo – grazie a una smart pencil- formule matematiche. La registrazione audio video della lezione viene poi caricata sul portale di ateneo. Certamente manca il contatto con gli studenti, ma queste lezioni permetteranno loro di avere più tempo e modalità per apprendere. Siamo certi che abbia senso tornare indietro al vecchio modello in cui il professore entra in aula e “pontifica”? Penso che sarebbe un errore. In futuro il tempo “fisico” tra studenti e professori dovrà essere utilizzato per fugare dubbi e seguire tesi. Queste tecnologie erano già disponibili da un po’ di tempo, ma non venivano adottate per inerzia e pigrizia. Serviva uno shock di produttività.  L’epidemia Covid 19 ha cambiato completamente lo scenario.

Il comportamento delle scuole è commovente. I docenti fanno quello che possono, ma il programma didattico e le interrogazioni a distanza proseguono. Il problema della verifica delle conoscenze è serio, ma le scuole superiori del futuro dovrebbero alternare lezioni a casa e lezioni in classe. Una didattica parzialmente smart migliorerebbe la vita e la gestione del tempo dei giovani, diminuendo al tempo stesso traffico e congestione urbano. Il discorso delle elementari e medie è più complicato. Per quel tipo di didattica il sistema tradizionale è ancora desiderabile.  Vi è poi il problema della digital divide, e del rischio che scuole e famiglie dei quartieri più disagiati non abbiano accesso alla banda larga.

I cambiamenti in atto non riguardano solo l’education. Mentre tutti parlano di cassa integrazione, pochi forse riflettono che le strutture dell’INPS- la più grande amministrazione dello Stato- sono in realtà deserte. Nessuno si è però lamentato di pensioni non erogate o sussidi e prestazioni non ricevute. Il lavoro a distanza sta funzionando anche per il carrozzone INPS.

Il mondo delle professioni è particolarmente esposto all’epidemia. Avvocati e commercialisti sono senza protezione sociale e non vedono più i loro clienti. Molti hanno un orizzonte di liquidità di pochi mesi. Il mio consiglio e di utilizzare questo periodo per adottare le tecnologie di smart working sopra descritte. Si applicano alla perfezione alle loro professioni, e quando l’emergenza sarà superata, i professionisti che riceveranno i clienti on line- a parità di competenze- godranno di un vantaggio competitivo non indifferente.

La nostra regione rimane altamente concentrata nell’industria manifatturiera. Nelle fabbriche moderne esistono ancora gli operai. Per quelle professioni lo smart working è impossibile e il contatto sociale tra diversi lavoratori rimane significativo, nonostante le regole inserite nel protocollo tra Governo e parti sociali. Sentiamo spesso la necessità di uscire sui balconi e applaudire il personale medico sanitario. E’ giusto. Non dovremmo però dimenticare i lavoratori diretti dell’industria. E soprattutto grazie alla tenuta della produzione nelle fabbriche- il cui lavoro è spesso molto poco smart- se un territorio come il Piemonte uscirà in piedi dall’emergenza.

 

LA TECNOLOGIA NELLE ELEMENTARI

E L’UNIVERSITA’ NEI CAMPUS

Corriere della Sera, edizione Torino.

Martedì 25 Marzo 2020

Luciano Borghesan

(l.borghesan@sporting.to.it)

pagina BORGHESAN

Sono d’accordo con l’intervento-invito del professore Pietro Garibaldi pubblicato dal Corriere Torino lunedi’ 23  con il titolo SMART WORKING LO CHOC CHE SERVIVA: cerchiamo di vedere se qualcosa di positivo potrà lasciare questa tragica (per le molte vittime) e spaventosa storia mondiale del corona virus, tuttora in corso. Credo che l’esperienza del “lavoro agile” (smart working) da casa o comunque non legato a un posto fisso possa essere molto utile per quelle aziende o strutture che lavorano soprattutto con mezzi tecnologici, e le redazioni dei giornali sono un esempio praticabile. Chiaramente la produzione materiale richiede operatori sul luogo.

Il risparmio sulle spese non è solo per l’impresa, anche la collettività ne giova per il contenimento di servizi pubblici. Non mi dilungo su questo perchè c’è già ampia opinione.

Mi fa riflettere invece l’indicazione esposta per Università e anche Scuole Superiori con meno “tempo fisico” e più “on line”.

Sicuramente la tecnologia consente di apprendere molto di più di quanto abbia potuto fare la mia generazione e comunque quella nata fino agli anni ottanta, ma temo il rischio dell’isolamento anche se i canali frequentati dai ragazzi di oggi si chiamano “social”.

Il confronto, lo scambio, le relazioni hanno un alto valore di crescita, di formazione e anche di costruzione di rapporti utili a “fare” e “assieme”. Ho sempre invidiato i ragazzi e le ragazze che hanno vissuto i campus americani (anche per lo sport), che mi dispiacerebbe non vederli mai a Torino, proprio ora che ha leadership e capacità per puntare su una città universitaria attrezzata.

Attenzione, volere il campus, la frequenza, non vuol dire mettere in secondo piano “hardware e software”, anzi… quelli sono strumenti e strade per accelerare conoscenza e anche dialogo virtuale, e sono da utilizzare al massimo: e per questo – anche nell’ambito della mia categoria di giornalisti – ho sempre sostenuto la necessità di “imparare l’arte” da piccoli.

“Informazione, comunicazione e mezzi tecnologici”, per me, dovrebbero essere i contenuti di una materia da insegnare a partire dalla Scuola Elementare. Al posto della penna, i bambini oggi hanno un videoterminale che consente di vedere e girare per il mondo senza avere una preparazione su dove stanno andando…

Noi siamo stati autodidatta da adulti, con qualche istruzione per distinguere il vero dal falso, ma un bimbo? Spieghiamo loro come usare bene un computer e che ci si puo’ imbattere in una notizia, o in una pubblicità, o in una fiction…

“Che cosa sono? Che differenza c’è, papà?”

Può rispondere solo la famiglia? E sono tutte in grado?