DISTANTI MA UNITI: Marco Travaglio, il mio Sporting

DISTANTI MA UNITI: Marco Travaglio, il mio Sporting

Il Direttore de Il Fatto Quotidiano rinnova i saluti ai Soci e desidera ricordare lo Sporting con lo stesso articolo che scrisse in occasione del Cinquantenario.
Sono pochi, credo, i luoghi di Torino più “torinesi” dello Sporting. L’eleganza ovattata, l’understatement dissimulato, la bellezza pudica di questa oasi e la gioiosa riservatezza dei suoi frequentatori non si ritrovano in nessun altro circolo d’Italia. Mi è capitato di frequentarne saltuariamente qualcun altro, e ne sono subito fuggito per l’insopportabile ostentazione di lusso che emanava dall’ambiente e per la puzza sotto il naso che caratterizzava i soci. Allo Sporting è diverso. Ci si va con piacere a respirare aria buona, a rilassarsi, a ritemprarsi, a fare due chiacchiere e un po’ di sport, sapendo di non fare brutti incontri e di non rovinarsi il fegato. Basta un’ora da quelle parti, a due passi dal mitico Comunale (non riesco proprio a chiamarlo “Olimpico”), per cambiare tono alla giornata. Lo so perchè negli anni scorsi ero, se non proprio un habituè, un frequentatore assiduo: almeno due volte la settimana per il tennis o il calcetto con i colleghi di “Repubblica”: partitella, pranzo, sigaretta nel parco e, quando capitava, una sbirciatina agli eroi della mia infanzia, tipo Francesco Morini e Josè Altafini, immortali sul campo di calcio come ai tempi della grande Juve di Boniperti e Trapattoni. Lo dico con un certo rimpianto, perchè ultimamente la mia vita peripatetica ha forzatamente ridotto quasi a zero le mie presenze a Torino, e dunque allo Sporting. Ma ogni anno, dovendo decidere se abbandonare o mantenere la tessera, finisco sempre per scegliere la seconda opzione, e pago la quota. Mi piace essere socio dello Sporting anche se non riesco a passarci quasi mai. Nella speranza di tornare presto.